Il Sogno di Aiace di Ghiannis Ritsos, il grande poeta greco del Novecento, tratto dalla sua raccolta “Quarta Dimensione“, la cui traduzione è del grecista Nicola Crocetti, è stato presentato a Teatro con la regia di Germano Graziano Piazza e l’interpretazione di Viola Graziosi per la prima volta ad Aprile al Pacta Salone di Milano e poi incluso in un tour estivo Castelli di Pietra, è stato rappresentato al Castello di Milazzo, nella suggestiva location del piazzale del Monastero dei Benedettini, dove il regista e l’attrice ritornano dopo la rappresentazione della FEDRA di Seneca.
L’incipit con la voce del regista, come voce degli dei che narra di Aiace eroe degli eroi, si silenzia quando appare Viola Graziosi nel suo incedere da dea, nella sua armonia di movenze, di leggiadri snodamenti del corpo, come emersa da un sogno, in una scenografia di vuoti, di assenze: una sedia, vuota un abito indossato e macchiato di sangue e perle di una collana spezzata, sparse a terra…
Il testo di Ghiannis Ritsos assai metaforico e simbolico nella sua essenza, nel suo messaggio di assenza, in versione onirica, si muove tra metafisica e ontologia, e trova un’interprete capace di esprimere l’inesprimibile… Diceva A. Manzoni “è la forma che conta”, cosa sarebbe stato il romanzo de I Promessi Sposi se non fosse stato lo stesso Manzoni a scriverlo?
Il sogno di Aiace è un Testo che va oltre il Mito, ma del Mito non può fare a meno perché è nel Mito che i Greci scrissero le vette e le cadute, la gloria e la miseria, la saggezza e la follia, e mentre nelle tragedie rivisitate e portate a Teatro il Mito viene razionalizzato, attualizzato, ne Il Sogno di Aiace di Ghiannis Ritsos c’è un misto di nichilismo e di rinascita, c’è la “quarta dimensione”, “l’esplosione dei confini”, come a fine dello spettacolo spiega al pubblico Viola Graziosi per meglio comunicare con gli spettatori, lei che è avvezza ad interagire con loro, a coinvolgerli nella scena.
Aiace non c’è, è morto, è una donna, Tecmessa a parlare in sua vece, quella stessa donna più volte dimenticata da Aiace il più forte degli eroi greci, di cui Sofocle non scrisse le grandi gesta, ma l’orgoglio ferito, la follia, la vergogna dell’ingiusta umiliazione e quindi il suicidio. La donna è anche la parte benevola, forte della sua fragilità. La donna evoca la grandezza di Aiace ma dice pure “a me basta quello che ho trovato nel perdere ogni cosa”. L’uomo è ricco quando impara dalle proprie perdite.
Gli eroi, tramite tra gli dei e gli uomini, sono morti e gli uomini della nostra epoca sono soli, distrutti, non aspirano neanche alle vane glorie… impotenti dinnanzi all’ineluttabilità del Destino: “tutto ci è dato e tutto ci è tolto senza il nostro assenso”. Edipo si acceca per rinascere, ma Aiace, l’eroe, debole della sua forza fisica, umiliato, si uccide.
Un nuovo decadentismo quello di G. Ritsos che il regista vuole salvare con una rinascita, quella che Aiace o Tecmessa o la donna sulla scena annuncia: “Tutto è nell’incavo”. Cos’è l’incavo ? Un ventre, quel ventre da cui tutto si originò e si origina, ci richiama a quella Gea, madre dei Titani, che trova il modo per alternare morte e rinascita. Non possiamo fare a meno di ricorrere al Mito come dice il critico Andrea Bisicchia, certo è che nel testo di Ritsos ritroviamo il Mito ab origine in cui ogni differenza si annulla e trionfa, una fusione per la rinascita dell “essere”…
La “quarta dimensione” o il superamento di ogni dimensione, la sfera dell’Oltre è qualcosa che risiede nell’irrazionale o nella fede di qualunque credo, in quella forza che si chiama “amore” e con l’immaginazione capace di andare oltre il visibile. “Io nel pensiero mi fingo ove per poco il cor non si spaura” scrisse Giacomo Leopardi … Questa magica fusione da quarta dimensione si può ottenere con la finzione della mente, ma anche con l’amore vero, con l’intesa che fonde due esseri.
Germano Graziano Piazza e Viola Graziosi la incarnano nella vita e sulla Scena.
Rita Chillemi